L’enciclopedia Treccani definisce la creatività “Virtù creativa, capacità di creare con l’intelletto, con la fantasia. In psicologia, il termine è stato assunto a indicare un processo di dinamica intellettuale che ha come fattori caratterizzanti: particolare sensibilità ai problemi, capacità di produrre idee, originalità nell’ideare, capacità di sintesi e di analisi, capacità di definire e strutturare in modo nuovo le proprie esperienze e conoscenze.”
Essere creativi dovrebbe essere l’attitudine più naturale del mondo, eppure non mancano coloro i quali percepiscono un senso di angoscia nei confronti dell’espressione della loro parte creativa.
Nel dizionario personale di molti, infatti, l’esplosione di entusiasmo della parola creatività è congelata da un senso di agitazione, di pressione, di immediata rigidità. Il sinonimo di creatività diventa inadeguatezza. Ciò si lega in modo imprescindibile alla paura del giudizio degli altri e dunque al giudizio finale che le persone hanno su di sé. Si ha paura di non essere all’altezza, di sbagliare, di non ricevere meriti o lodi per la propria presunta bravura; di non riuscire a creare qualcosa che realmente impressioni, stupisca, crei reazioni in chi si permetterà di osservare con occhio critico e con il dito puntato ciò che la nostra creatività spingerà spontaneamente a produrre.
Quanti pragmatici si sono dimenticati quanto bello sia vivere coerentemente con ciò che si sente nel cuore… e magari potendosi pure divertire. Sono migliaia i modi per essere persone creative, e la maggioranza di essi non richiedono doti da supereroe: c’è chi dipinge, chi fa giardinaggio, chi scrive, chi cucina, chi canta o suona, chi organizza viaggi o chi semplicemente, un giorno, decide di cambiare il solito tragitto casa-lavoro per imboccare una strada diversa, solo per il brivido di aver reso quell’attimo della giornata unico e irripetibile.
Vivere una vita creativa significa scoprire di poter vivere una vita spontanea, e questo fa tremendamente paura a tutti coloro i quali non si sono mai permessi di esporsi all’errore, di uscire dagli schemi di una rigidità, concedendo quel passo oltre la cosiddetta “comfort zone”.
Creatività, infatti, non significa originalità, ma autenticità. Sicuramente essere originali può permettere di trasformare un’intuizione individuale in un capolavoro sottoposto alla meraviglia di molti, ma nel suo significato più profondo essere creativi dovrebbe implicare l’opportunità di essere autentici, seguire il proprio cuore, dare vita attraverso il “dare forma”, al mondo interiore di ognuno. Proprio quel mondo che abbiamo premura di tenere nascosto per non esporlo al rischio di intemperie: una pioggia di critiche potrebbe sciuparlo, un turbine di giudizi potrebbe stremarlo. Ciò può dipendere da un tipo di formazione o di educazione che, spesso involontariamente, ha soffocato gli impulsi creativi delle persone insegnando a seguire il sentiero già battuto del pensiero conformista, dell’idea che un sogno non possa trasformarsi in obiettivo o che, semplicemente, in una vita focalizzata sulla necessità di lavorare per guadagnare, non si abbia diritto o dovere a cercare degli spazi in cui ritrovare la propria essenza nella maniera che si ritiene in quel momento più vicina a se stessi, per quanto superficiale o addirittura banale possa apparire.
Essere creativi richiede una dose di coraggio proporzionale alla paura di non essere accettati, di non essere capiti, di essere derisi. Non è un processo scontato o immediato per tutti, ma quando si comincia ad avere coraggio si mette in atto un meccanismo di fiducia che, permeando ogni aspetto della vita, rende infinitamente leggeri e incredibilmente euforici: è un po’ come lanciarsi con il paracadute dall’aereo delle paure in cui ci siamo sempre rifugiati. Dopo l’impatto di terrore e destabilizzazione iniziale, finalmente inizia il volo, quello che abbiamo tanto aspettato, desiderato, guardato da lontano con il naso all’insù e che abbiamo fatto in modo di meritare. Inizia la liberazione.
Dimentichiamo troppo spesso che la creatività dovrebbe essere prima di tutto una fonte di libertà, leggerezza. Se diamo al sillogismo “essere creativi significa essere spontanei e essere spontanei significa essere liberi” la possibilità di funzionare, allora essere creativi significa essere liberi di per sé – ma soprattutto, aggiungerei, liberi da quei “se” che incatenano il nostro bisogno primario di essere autentici, di rispettare noi stessi, onorando ciò che siamo.
Un bellissimo manuale sulla vita creativa é il libro “Big Magic” di Elizabeth Gilbert, l’autrice del best seller internazionale “mangia prega ama”. L’autrice affronta in modo disarmante per la sua condivisibilità tutte le tappe, le paure, le conquiste, le idee, le difficoltà, le sfumature e gli sforzi che segnano l’approccio e la devozione alla vita creativa come fonte, primaria, di vita. Prendendo in esame le varie fasi della “creazione” (fra cui paura, fiducia, perseveranza) insegna quanto sia importante gettare basi consapevoli per instaurare un rapporto solido e duraturo con la nostra parte creativa. Quel rapporto che lei stessa definisce un rapporto d’amore reciproco, poiché esprimersi é una delle necessità primarie dell’uomo sin dall’alba dei tempi, un istinto vitale che prima o poi verrà a bussare alla porta della nostra anima per riscuotere quanto gli spetta, ossia la nostra più totale attenzione e disponibilità d’azione.
Ritrovare, ma soprattutto prendersi cura del proprio l’estro creativo significa tornare a respirare dopo una vita in apnea. Può non essere una via inizialmente facile, ma sarà un cammino ricco di soddisfazioni. Non serve fare “molto”, non serve fare “sempre”. L’importante è saper ascoltare e riconoscere il richiamo della nostra integrità. L’unico debito che abbiamo con la vita, infondo, è trovare il modo per essere felici e proprio infondere la magia della creatività nelle cose semplici può essere il mezzo attraverso cui giungere a realizzare il proprio potenziale, che aspetta solo di essere svelato.
Chiara Pasin
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Articolo a cura di Il Percorso Profondissimo